Pubblichiamo volentieri l’articolo di Stefano Kovac, presidente Arci Genova, apparso questa mattina su Repubblica-edizione Genova

Cari Angeli del fango (questo nome non mi piace molto, ma oramai tutti vi chiamano cosi), ancora stamattina eravamo insieme a cercare di portare aiuto: liberare un negozio dal fango, portare via detriti, ripulire i prodotti che ancora si possono salvare, sgottare acqua dai fondi allagati.

Spalare, aiutare è importante. È la cosa giusta da fare adesso. Però prendiamoci due ore di tempo per riflettere perché è importante non farci strumentalizzare. Rischiamo di assumere un ruolo consolatorio invece che protagonista di una svolta che possa cambiare il destino di questa città. Negli ultimi 4 anni ci siamo già visti 3 volte e sempre per spalare fango. Spaliamo il fango che entro pochi mesi tornerà là dove lo abbiamo tolto!

È chiaro che all’origine c’è un problema più serio.

Il problema è un’idea di città che ha coperto tutto di cemento, ha stretto i fiumi dentro argini artificiali o, peggio, dentro tubi che non possono sostituirne il letto naturale.

Se il terreno è coperto di cemento l’acqua non filtra, non raggiunge il sottosuolo, rimane sopra e finisce per allagare il fondovalle; lì torrenti che un tempo erano larghi ora hanno un alveo ridotto a un quarto (quando non un decimo) di quello naturale ed esondano distruggendo tutto.

Ci raccontano che bisogna costruire altri tubi, argini più alti, altre grandi opere che contengano i fiumi. Altro cemento aggiunto al cemento. Che è tutta colpa della burocrazia che ha bloccato queste grandi opere (che richiedono comunque molti anni ed enormi quantità di denaro, per essere realizzate). Ma qualunque muro, qualunque argine troverà prima o poi un’onda abbastanza grande per travolgerlo. Per questo in molti posti non si costruiscono argini sempre più alti ma si rinaturalizzano gli alvei con prati, alberi che assorbano l’acqua, la rallentino, golene che possano, allagandosi, contenere l’acqua del fiume rilasciandola lentamente.

Quello del cemento è un inganno fatto per il guadagno di pochi.

Sul Ferregiano dopo l’alluvione del 2011 hanno rialzato un argine; ieri è crollato. All’acqua va restituito il suo spazio. «Tutti a dire della rabbia del fiume in piena e nessuno della violenza degli argini che lo costringono» scriveva Bertold Brecht.

Il rischio è che il nostro impegno sia usato per dimenticare, per mettere da parte le questioni fondamentali, per continuare a costruire ed ad impermeabilizzare.

Invece bisogna togliere cemento e rimettere verde, chiedere sistemi di viabilità che ci consentano di viaggiare più agevolmente e liberamente sui più mezzi pubblici (invece di tagliare le corse) e liberarci di un po’ di auto e di motorini. Bisogna saper ammettere, noi stessi, che ci hanno spinto a consumare beni e a organizzare la nostra vita secondo modalità incompatibili con la fragilità e gli spazi stretti del nostro territorio.

È una scelta difficile ma è l’unica che può risolvere il problema.

Teniamo negli occhi le immagini di questi giorni, custodiamo nel cuore la rabbia provata guardando la devastazione, coltiviamola ed usiamola nei prossimi tempi per pensare ad uno sviluppo diverso per la nostra città.

Un piano urbanistico che condizionerà il futuro di Genova è in via di approvazione proprio in questi giorni. Molte associazioni e comitati di cittadini si battono per difendere il nostro territorio da scelte scellerate. Non lasciateli soli! Non ascoltate chi li chiama con disprezzo ‘comitatini’.

Ragazzi siete preziosi, col vostro lavoro, l’energia che esprimete e le vostre facce sporche di fango. Ma se non volete che fra 50 anni i vostri figli ed i miei nipoti si ritrovino a spalare ancora, stasera dopo aver spalato prendetevi due ore – forse basta anche meno – e riflettete.

Non fatevi ingannare!