In vista della giornata mondiale contro la violenza sulle donne – 25 novembre, in onore e ricordo delle tre sorelle Mirabal torturate e assassinate nel 1960 dal regime del dittatore della Repubblica Dominicana Truijllo – pubblichiamo volentieri l’articolo di Ornella Pucci, responsabile nazionale Arci Politiche di genere (Arcireport numero 38, 20 novembre 2014)

Noi dell’Arci abbiamo deciso di darci una struttura più organizzata del nostro impegno sulle questioni di genere, per dare voce, sostegno e impulso all’impegno spontaneo e diffuso su tutto il territorio nazionale che a partire dai nostri circoli vuole far fronte alle sfide pesanti politiche e culturali che abbiamo davanti. Vogliamo prendere in carico questo impegno e sfida culturale a partire dalla giornata del 25 novembre.

Dal 1999 il 25 novembre è stata designato dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite come la Giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne invitando i governi, le organizzazioni internazionali, le ong ad organizzare attività al fine di sensibilizzare l’opinione pubblica. La data è stata ufficializzata dall’Onu ma credo sia importante ricordare che in realtà fu scelta da un gruppo di attiviste latinoamericane e dei Caraibi durante l’incontro di Bogotà del 1981.

Questa data fu scelta in onore e ricordo delle tre sorelle Mirabal torturate e assassinate nel 1960 dal regime del dittatore della Repubblica Dominicana Truijllo (1930/1961). Questo assassinio è ricordato come uno dei più truci della storia dominicana. Infatti fu il 25 novembre 1960 che le sorelle Mirabal mentre si recavano a far visita ai loro mariti in prigione furono catturate da agenti del servizio di informazione militare, condotte in un luogo nascosto dove furono torturate, massacrate a colpi e strangolate, poi gettate in un precipizio a bordo della loro auto al fine di simulare un incidente.

In Italia dal 2005 si è iniziato a celebrare questa giornata per iniziativa dei centri antiviolenza, delle case delle donne, da enti e associazioni tra le quali Amnesty International. Nel 2007 a Roma 100mila donne hanno manifestato ‘contro la violenza sulle donne’ senza alcun patrocinio politico. Anche la parola ‘femminicidio’ ha origini molto recenti, viene dalle stragi di donne a città Suarez in Messico. Nel 2012 il rapporto annuale delle Nazioni Unite diceva che «a livello mondiale, la diffusione degli omicidi basati sul genere ha assunto proporzioni allarmanti» e che tali omicidi sono «culturalmente e socialmente radicati, continuano ad essere accettati, tollerati e giustificati, laddove l’impunità costituisce la norma».

Gli omicidi cosiddetti di genere si manifestano in forme diverse ma hanno in comune il fatto che avvengono dentro una relazione di intimità già segnata da violenza pregressa, sono spesso ‘morti annunciate’, raccontate come delitti passionali o fatti di cronaca nera in cui l’assassino è marito o ex, fidanzato o ex, innamorato respinto, padre o fratello. Cronache corredate da particolari morbosi dove spesso la donna diventa vittima due volte: del reato e della narrazione.

Il linguaggio col quale si racconta la violenza maschile sulle donne è fondamentale, per combattere il femminicidio perché può essere utile per cambiare la cultura della società o mantenerla osservandola con l’occhio rassegnato ed arcaico del delitto d’onore, abrogato in Italia più di 30 anni fa. Si dice che in Italia muoia di violenza maschile una donna ogni 2 giorni.

I numeri sono impietosi ma imprecisi, infatti non esiste ancora un monitoraggio nazionale organizzato e coordinato tra le istituzioni e le associazioni.

Le reti di servizi e centri antiviolenza sono poche e hanno scarsi finanziamenti dagli enti locali e dallo stato. Comunque i dati Eures dicono che nel 2013 in Italia le donne vittime di femminicidio sono state 179, rispetto alle 157 del 2012,ovvero si registra un aumento del 14%,aumentano quelle in ambito familiare del 16,2% confermando la caratteristica di ‘femmminicidio del possesso’ ovvero conseguenza della decisione della vittima di uscire da una relazione di coppia. È peraltro dimostrato – dati alla mano – che tale fenomeno ha costi sociali che gravano sull’intera comunità e quindi un’azione di prevenzione ha ricadute positive anche in termini di efficienza della spesa a partire da quella locale. Sarebbe importante in questa giornata fare il punto sulla situazione, sulla prevenzione, sulla realizzazione delle azioni previste dalla convenzione di Istanbul, sull’impegno dello stato e degli enti locali, e per noi associazione culturale approfittarne per aggiornare il nostro impegno per la nostra società, per noi e per le donne del mondo per essere Libere dalla paura, libere di essere, come recitava uno slogan che abbiamo coniato qualche anno fa e che ora vogliamo rispolverare.

Il 25 tante donne saranno nelle piazze, nelle sedi istituzionali ma anche nei circoli Arci a testimoniare, manifestare, discutere, e magari anche a raccogliere fondi per il centro antiviolenza del loro territorio.