Ciao, Madiba. Numero 46664 per le carceri sudafricane. Invictus, come il titolo di un grande film a te dedicato. Invictus perché imbattuto, non vinto, termine del tutto diverso da invincibile, perché sempre sei stato un uomo e non un semplice mito.

Di te dicevi infatti “sono una persona normale, alla quale solo circostanze straordinarie hanno offerto un ruolo storico”.

Guerrigliero e straordinario uomo di pace, non vinto perché non ti piegarono le carceri che ‘ospitarono’ anche Ghandi, dove fosti rinchiuso per ben 27 anni, di cui 18 nell’isolamento disumano di Robben Island.

Da quelle prigioni, dove organizzasti anche una squadra di calcio quale prova manifesta di resistenza umana, tu hai saputo parlare al mondo. Da lì dentro hai costruito la tua vittoria e il futuro del tuo paese.

La rivoluzione non è un pranzo di gala, ma neppure la pacificazione, che non è un deserto ma un modo diverso e democratico per comporre i conflitti anche aspri nella società. Tu hai saputo anteporla alla vendetta, correndo il rischio di perdere l’appoggio dei tuoi e la tua popolarità, ma conquistando un posto originale nella storia di quel terribile e grandissimo Novecento.

Con lo stesso spirito e lo stesso coraggio con cui hai parlato in afrikaans ai tuoi carcerieri, hai guardato alle tragedie del continente più antico dell’umanità, l’Africa. Così ti sei battuto contro ogni sterminio, ogni dissennato fratricidio e hai elevato la questione palestinese al livello di “vera questione morale” (queste le tue parole) del XXI secolo.

Avremmo voluto non perderti mai. Continuare per sempre, per quanto inadeguati, a imparare la tua lezione.

Un grande filosofo medioevale della cristianità, diceva “siamo nani seduti sulle spalle dei giganti”. Ci piacerebbe tutti quanti accovacciarci sulle tue larghe spalle, che hanno conosciuto la sofferenza e la gioia, per potere vedere sempre più lontano.

Grazie, Nelson Rolihlahl (attaccabrighe) Mandela.

Roma, 6 dicembre 2013