Il popolo palestinese sale alla cronaca nei momenti più terribili della sua storia. Delle condizioni infelici di vita in cui milioni di uomini, donne e bambini sono costretti a vivere ogni giorno non se ne parla. Eppure la causa della costante violazione dei diritti a cui questo popolo è sottoposto è di fronte a tutti: si chiama occupazione.

In molti vogliono farci credere che uno stato palestinese esiste già, che ha un governo nel pieno dei propri poteri, una rappresentanza univoca, ampie e paritarie possibilità di riprendere e portare avanti gli accordi di pace.

Non è così. I territori palestinesi sono da molti decenni occupati militarmente dall’esercito israeliano che ne determina le regole in base a leggi speciali, promulgate per la sicurezza di Israele, ed ordinanze militari, in base alle quali anche un bambino può essere arrestato per motivi politici e giudicato dalle corti marziali. L’autorità nazionale palestinese ha il controllo delle sole città, isole che rappresentano il 17% del territorio della Cisgiordania.

E l’occupazione ha molte facce che cambiano a seconda dei luoghi: trasferimento forzato di popolazione, demolizione di case e di infrastrutture palestinesi, impedimento dell’accesso all’acqua, limitazione della mobilità, frenata da ostacoli/barriere permanenti, aumento della costruzione di insediamenti illegali per i coloni.

Nel solo 2011 sono state distrutte più di 600 abitazioni. Ad oggi esistono 149 colonie e 102 avamposti israeliani nei territori occupati con più di 500.000 israeliani che vi abitano in maniera stanziale. Questo significa anche la costruzione di nuove infrastrutture, principalmente strade, ad uso esclusivo dei coloni illegali e l’aumento delle violenze e delle provocazioni nei confronti dei civili palestinesi.

Un muro, illegale secondo il diritto internazionale, alto 9 metri e lungo 700 chilometri circonda la Cisgiordania violando i confini del 1967, isola Gerusalemme est, ingloba le colonie israeliane, blocca l’accesso a strade che conducono a terre e villaggi palestinesi.

In Palestina, la frammentazione del territorio e la limitazione totale al movimento e alla libertà, la violazione costante dei diritti delle persone non permettono alla popolazione di vivere con dignità. L’instabilità e le divisioni politiche interne aggravano ulteriormente la situazione.

Il perdurare, l’estendersi e il consolidarsi sul terreno dell’occupazione con la sua catena di violenza e illegalità minaccia di rendere impossibile la soluzione dei due stati.

L’asimmetria delle forze messe in campo richiede assunzione piena di responsabilità e intervento diretto della comunità internazionale perché non prevalga la forza sul diritto.

La stagnazione delle trattative e della ricerca di accordi di pace, iniziate da più di vent’anni, non possono costituire un alibi alla continua violazione dei diritti umani, al peggioramento delle condizioni di vita dei palestinesi, al perdurare e al consolidamento dell’occupazione israeliana.

Oggi e ancora di più per il futuro, la stessa sicurezza degli israeliani, per la quale da sempre siamo impegnati, ha bisogno di avere come fondamenta il riconoscimento dei diritti di tutti a vivere con dignità e giustizia in quelle terre.

 

Noi, società civile, forze sociali e politiche, istituzioni, che da sempre leggono il mondo con la lente dei diritti, che da sempre stanno dalla parte dei diritti di tutti, diciamo basta e compiamo solennemente un gesto unilaterale e simbolico, di giustizia, di pace e di monito alla comunità internazionale:

 

Noi riconosciamo lo stato di Palestina,

chiediamo alle Nazioni Unite di riconoscerlo a pieno titolo non solo come membro osservatore, proclamiamo a gran voce “I say Palestina”.

Al Governo italiano chiediamo di farsi portavoce delle importanti conclusioni adottate dal Consiglio d’Europa nel maggio 2012, e dall’Unione Europea nel luglio 2012.

In modo particolare chiediamo nell’immediato di impegnarsi per il rispetto degli accordi internazionali su alcune questioni urgenti:

1. condannare la politica di estensione sui territori palestinesi occupati delle colonie israeliane, illegali per il diritto internazionale, e la distruzione sistematica delle abitazioni e infrastrutture palestinesi;

2. fermare gli arresti indiscriminati e garantire i diritti dei prigionieri, eliminando la pratica della detenzione preventiva o amministrativa;

3. garantire l’apertura dei valichi da e per la striscia di Gaza per permettere il flusso di aiuti umanitari, merci e persone;

4. garantire lo status di Gerusalemme Est come capitale dello stato di Palestina, di promuovere la riapertura delle istituzioni palestinesi nell’area, di condannare e impedire l’estensione degli insediamenti, la repressione delle pacifiche attività dei palestinesi.

Un Europa civile, un paese mediterraneo come l’Italia, devono avere come priorità della loro politica estera di garantire e promuovere i diritti di chi abita il mare nostro ed utilizzare tutti i mezzi a disposizione perché, dopo più di 45 anni, si ponga fine alla vergogna che l’occupazione dei territori palestinesi rappresenta per tutta la comunità internazionale.

I SAY PALESTINA