(Da Arcireport 40) La riflessione di Walter Massa a partire dalla sentenza che ha mandato assolti, dopo 36 anni, i fascisti imputati per la strage dipiazza della Loggia a Brescia.

Non c’è un collegamento diretto tra i due fatti, ma è innegabile che in questo periodo su Brescia fossero puntati (o avrebbero dovuto esserlo) gli occhi di chi ha a cuore la nostra fragile e bistrattata democrazia. Nel tribunale cittadino, i giudici della Corte d’assise di Brescia portavano a termine il processo contro i cinque imputati per la strage di piazza della Loggia del 28 maggio 1974 in cui morirono 8 persone e oltre 100 furono ferite. A poco più di due chilometri di distanza, 6 cittadini migranti lottavano per i loro diritti sulla gru nel cantiere metro-bus di via Cesare Battisti. Sotto, cittadini solidali e militanti antirazzisti manifestavano la loro solidarietà, scontrandosi con l’ostilità della polizia e la sordita’ delle Istituzioni. La fine è nota. I fascisti imputati per la strage di Piazza della Loggia sono stati assolti con una formula equiparabile all’insufficienza di prove. Dopo 36 anni di battaglie civili per la verita’ e la giustizia. Per i migranti, scesi dalla gru dopo 16 giorni, le cose invece sono andate diversamente: il loro destino è ancora in alto mare ma non si annuncia per nulla roseo. Intanto, con modalità assolutamente poco chiare, due egiziani, colpevoli di aver partecipato alle iniziative di sostegno per i migranti della gru, venivano spediti velocemente in Egitto. E, come abbiamo denunciato, a Brescia è partita la ‘caccia all’immigrato’, una vera e propria retata casa per casa. Un’altra agghiacciante analogia tra le due vicende è che in entrambi i casi, purtroppo, non c’è niente di nuovo. La sentenza bresciana ci conferma un’altra volta un Paese incapace di leggere con coraggio la sua storia e il suo passato. E l’impegno coraggioso di una parte della magistratura e delle forze di polizia non e’ evidentemente bastato ad arginare coloro i quali, pur ricoprendo importanti ruoli, non hanno fatto il loro dovere e troppe volte, abbiamo scoperto, hanno fatto l’esatto contrario: un esempio su tutti, il ruolo dei servizi nella strage di Piazza Fontana (Milano, 12 dicembre 1969) e il successivo spostamento del processo a Catanzaro. Certo, è giusto chiedere che «una volta per tutte si aprano gli archivi e si tolga il segreto di Stato», come ha fatto anche la neo segretaria della Cgil Susanna Camusso. Ma è pensabile che esista una volontà simile in un paese che non ha avuto il coraggio di varare una commissione d’inchiesta sulle vicende del G8 2001, con un’opposizione che su questo si è defilata? Chiudo queste riflessioni con le parole di Lorenzo Pinto e Manlio Milani, dell’Associazione dei caduti di Piazza della Loggia Brescia 28 maggio 1974 nel messaggio inviato al convegno I comitati civili contro silenzi e impunità, tenuto a Genova il 12 luglio 2003: «Noi siamo il Paese delle Associazioni delle vittime. Cosa vuol dire che i familiari si riuniscono e si battono per avere giustizia? Vuol dire che senza l’impegno di una parte di società per strappare la verità, è difficile che la verità venga fuori. Vuol dire che c’è una ferita nelle regole della democrazia, nel nostro Paese, talmente profonda che non può essere rimarginata con l’oblio, la rimozione. Vuol dire che c’è una ferita nel concetto di libertà. Vuol dire che c’è una frattura fra libertà e regole…»