Eesponenti del mondo della cultura, del cinema, della politica, della giustizia e delle associazioni si ritrovano oggi a Roma per ribadire che la tortura è un reato, ma non in Italia. Parte così la campagna per chiedere al governo e al parlamento di introdurre il reato nel codice penale. – La giornata è dedicata a Carlo Sarturno, 23 anni, morto in carcere a Bari, uno degli ex detenuti del minorile di Lecce che aveva denunciato le presunte violenze dei suoi carcerieri, tutti poi assolti per prescrizione.

Lo Statuto delle Nazioni Unite fu firmato a San Francisco il 26 giugno del 1945. Il 26 giugno del 1987 è entrata in vigore la Convenzione dell’Onu contro la tortura. Dal 26 giugno del 1997 per volontà delle Nazioni Unite si celebra la Giornata internazionale a sostegno delle vittime della tortura. Quella della proibizione legale internazionale della tortura è una storia che nasce dopo le barbarie nazi-fasciste. La tradizione giuridica e filosofica italiana l’aveva già interiorizzata sin dai tempi di Beccaria e Verri. Un uomo non è più uomo se è degradato a cosa. Le vittime della tortura sono ridotte a mezzo per conseguire altro fine. A volte il fine consiste nell’estorsione violenta di una confessione, a volte nell’intento di umiliare e punire. La tortura ha quale bene protetto la dignità umana. Le vittime della tortura sono private della loro dignità, della loro umanità. In Italia la tortura non è un crimine previsto nel codice penale. La tortura non è vietata. Non è neanche consentita. Ma non è espressamente e democraticamente bandita dal nostro ordinamento giuridico. La campagna Chiamiamola tortura, firmata da oltre tremila persone, ha l’obiettivo di sollecitare il Parlamento a colmare questa lacuna. Oggi al cinema Politecnico Fandango si incontreranno esponenti del mondo della cultura, del cinema, della politica, della giustizia, dell’associazionismo per ribadire il no secco alla tortura.
La discussione in Commissione Giustizia del Senato è finalmente iniziata. Queste le parole dette dal ministro della Giustizia Paola Severino in occasione del dibattito parlamentare: «Il reato di tortura non deve essere una norma di bandiera. La sua introduzione nel codice penale italiano deve rappresentare una connotazione in più rispetto ai reati che già esistono. Deve punire comportamenti disumani e degradanti. È un compito difficile creare ipotesi diverse rispetto a tutti i reati, dalle lesioni, al sequestro di persona, alla tratta di esseri umani, che già esistono nel nostro codice». Dalle pagine di questo giornale rivolgiamo un appello al Governo e al Ministro della Giustizia Paola Severino affinché dica parole chiare contro la tortura, per la sua proibizione legale, per la punizione dei torturatori, per il rispetto della legalità interna e internazionale, per i diritti umani. Il crimine di tortura non è una norma di bandiera. Senza quel crimine viene meno la possibilità di punire. Il crimine di tortura non c’entra nulla con il sequestro di persona (i detenuti a differenza dei sequestrati sono custoditi legalmente), con le lesioni personali (alcune delle quali richiedono la querela di parte e comunque non comprendono le sofferenze psichiche), la tratta di esseri umani (che non c’entra nulla con le violenze subite da chi è detenuto in un carcere o in una stazione di polizia). E poi ci sono i tempi di prescrizione da cui dipende l’esito processuale.
Carlo Saturno è un ragazzo di Manduria. Una decina di anni fa va a finire nel carcere minorile di Lecce. Nel 2006 un esposto di alcuni operatori racconta di violenze inaudite che avverrebbero in quel carcere a danno dei minori lì reclusi e di intimidazioni nei confronti del restante personale. Tra i ragazzi che subiscono angherie c’è anche Carlo Saturno. La procura di Lecce nel 2008 rinvia a giudizio otto agenti di polizia penitenziaria contestando loro abusi e violenze. Il processo segue ritmi sudamericani. Prosegue lento verso la sua morte. Nel frattempo Carlo Saturno si costituisce parte civile contro i presunti torturatori. È giovane. Torna in galera. Questa volta a Bari. Siamo al 2011. Si impicca nella cella di isolamento del carcere barese. Resta in coma per una settimana. In quella settimana sarebbe dovuto andare al processo per le violenze da lui subite. Carlo Saturno muore. E muore anche il processo. Viene rinviato a data successiva alla sua estinzione per prescrizione la quale viene certificata pochi giorni fa dal tribunale di Lecce. Questa storia dimostra che la norma sulla tortura non è una norma di bandiera. Se fosse stata presente nel codice e contestata agli imputati non avremmo avuto la fine indegna della prescrizione. A Carlo Saturno, vittima della tortura, dedichiamo la giornata di oggi.