La situazione del popolo siriano si fa di giorno in giorno più drammatica. La comunità internazionale è chiamata a intervenire con urgenza e contemporaneamente su due fronti: emergenza umanitaria, far tacere le armi.

Le cifre: un milione e duecentomila sfollati all’interno del paese, 180 mila rifugiati secondo l’UNHCR (nella stragrande maggioranza donne e bambini), 1.600 morti solo nell’ultima settimana.

Le organizzazioni non governative, le agenzie internazionali, i paesi limitrofi non hanno mezzi sufficienti per fronteggiare la crisi. Occorre da subito mettere a disposizione più strumenti e risorse per garantire assistenza, proteggere la popolazione civile, aprire corridoi umanitari, dare aiuto ai profughi.

L’intervento umanitario è necessario, ma non sufficiente. Occorre agire sulla causa che produce questa emergenza umanitaria, la guerra civile. Occorre fermarla al più presto. L’ha alimentata soprattutto la feroce repressione del regime di Assad. L’opzione della risposta armata ha innescato ancora di più la spirale di violenza, oggi vera e propria guerra civile, che ormai sta sconvolgendo la vita di tutto il paese, di tutto il popolo siriano, con il suo seguito di morte, violenza, distruzione.

Dalla guerra civile non c’è ritorno. La guerra civile ha comportato anche la riduzione al silenzio e all’impotenza dell’opposizione pacifica e non violenta (la stessa che aveva dato vita 18 mesi fa alle proteste), la riduzione dell’informazione a propaganda di guerra.

Il popolo siriano, nello scenario geopolitico regionale, è ostaggio e vittima della sua collocazione strategica: vicinanza a Iran, Israele e Libano, alle risorse energetiche dell’area, al centro del ‘gioco’ delle potenze regionali e internazionali che cercano di influenzare il dopo Assad a loro favore.

Occorre che la comunità internazionale, fuori da ogni tentazione di intervento armato, assuma una doppia responsabilità: assistere con più risorse e determinazione le vittime e contemporaneamente imporre la tregua, fermare Assad e ogni altra violenza. L’umanitarismo, che non è una politica, da solo non basta.

Solo la tregua può permettere di creare le condizioni per dare spazio a una soluzione politica, che nel rispetto dell’integrità e dell’indipendenza della Siria, permetta al popolo siriano, a tutte le sue componenti, di aprire un processo democratico e di decidere in pace del proprio futuro.

Arci si riconosce nelle proposte avanzate dalla Piattaforma Ong italiane in Medio Oriente e Mediterraneo, che rappresenterà la società civile nel Tavolo di confronto con DGCS e il Ministero della Cooperazione e Integrazione sull’emergenza umanitaria in Siria convocato per metà mese.

Arci ribadisce, inoltre, l’esigenza di un chiarimento immediato rispetto alle posizioni espresse recentemente a nome del Governo dal Ministro degli Esteri.

Il nostro Paese, strategico per posizione e storia nel dialogo euro-mediterraneo, attraverso l’impegno delle sue istituzioni e della sua società civile, deve giocare un ruolo attivo dentro la comunità internazionale nell’affrontare l’emergenza umanitaria in Siria, nel dare concreto aiuto e protezione ai profughi e agli sfollati, nel promuovere il silenzio delle armi e aprire così la strada a un percorso di pace e democrazia.

Arci, attraverso la sua ong Arcs, attiva in Medio Oriente da oltre 30 anni in programmi umanitari e di solidarietà e cooperazione, oggi in Libano (nell’area della Municipalità di Tripoli, compresi i campi palestinesi) e in Giordania (nei campi di accoglienza al Nord del Paese) è impegnata con una raccolta fondi a supportare il lavoro umanitario delle ong locali per i profughi civili siriani e palestinesi in fuga dai massacri.

Per info sulla raccolta fondi: www.arciculturaesviluppo.it – tel. 06.41609500 – mail: arcs@arci.it

 

Roma, 4 settembre 2012