La lotta che vede impegnati i cittadini savonesi è la stessa di quelli di tante altre realtà in difesa dell’ambiente e della salute. Una lotta che è compito di tutte e tutti noi sostenere.

Savona – « Quello di oggi è il nostro grido d’allarme, un ulteriore appello alla mobilitazione contro il carbone e l’ampliamento della centrale Tirreno Power». Si è espresso così Giovanni Durante, presidente provinciale Arci Savona al termine della conferenza stampa che associazioni e comitati che si battono contro la centrale di Vado-Quiliano hanno tenuto nella Sala Rossa del Comune.

Nel video del Secolo XIX, le interviste a Giovanni Durante, presidente provinciale Arci Savona, Gianfranco Gervino, portavoce di “Uniti per la Salute”, e una parte dell’intervento di Marco Stevanin durante la conferenza stampa:

Nel mirino della contestazione è finito in primo luogo il comportamento del ministero della Salute che in merito alla perizia presentata nella conferenza dei servizi dello scorso luglio dai comuni di Vado e Quiliano si è limitato a rispondere con un «non si hanno osservazioni» che ha scatenato la rabbia e i dubbi dei comitati e dell’ingegnere Marco Stevanin autore dello studio.

«Con la nostra perizia confutiamo tutto ciò che dicono e critichiamo il possibile ampliamento della centrale – ha detto Stevanin in collegamento video – avrei preferito di gran lunga che mi il Ministero della Salute mi avesse detto che io e lo studio Terra siamo un branco di cialtroni chiedendoci un risarcimento danni. Invece con questa risposta che non dice nulla ci ritroviamo senza nulla su cui dibattere, ma semplicemente a combattere contro muri di gomma».

«Perché insistono sul carbone e non puntano sulla metanizzazione? – si chiede Gianfranco Gervino, portavoce di “Uniti per la salute” – probabilmente solo perché il carbone è economicamente più allettante, ma così non va, la tutela della salute e di questo territori devono avere importanza prioritaria»

La storia della Centrale: una continua battaglia degli enti e delle comunità locali per la sua ambientalizzazione che dura da 45 anni -Documento elaborato dal Gruppo Consiliare del PD della Provincia di Savona

Tutto inizia nel lontano 1964 quando, dopo la nazionalizzazione dell’energia, scelta voluta dal primo centrosinistra (Secondo Governo Moro, DC – PSI – PSDI – PRI), il Governo centrale spinge per rafforzare la potenza energetica in capo all’ENEL e la sua diffusione sul territorio nazionale. In questo contesto nasce il progetto di realizzare a Vado Ligure una centrale termoelettrica alimentata a olio combustibile e a carbone, che nel disegno originario doveva essere articolata in sei gruppi. Il clima sociale, piuttosto teso, poneva già allora il problema anche in termini di ricadute occupazionali e finanziarie sul territorio.

La resistenza degli enti locali ad un progetto calato dall’alto (allora i sindaci erano Pietro Morachioli a Vado Ligure e Andrea Picasso a Quiliano) portò nel 1967 ad un ridimensionamento dell’idea originaria con il passaggio da sei a quattro gruppi e grazie all’idea, in allora inedita e innovativa, dello strumento convenzionale i Comuni, nonostante la forte centralizzazione di questa scelta, che tagliava completamente fuori gli enti locali, riuscirono ad ottenere una convenzione che prevedeva il monitoraggio a carico della stessa Enel delle ricadute sul territorio delle emissioni e una serie di compensazioni economiche a favore delle comunità locali. Da allora le convenzioni si imposero come unico strumento contrattuale, in capo agli enti locali, per ridurre il danno ambientale e conseguire clausole sociali ed economiche a favore del territorio.

Tra la fine degli anni 80 e l’inizio degli anni 90 l’Enel e il Governo centrale (nel frattempo a guida del Pentapartito) rilanciano sulla centrale di Vado e Quiliano con la volontà di aumentarne la potenza ed alimentarla esclusivamente a carbone. Per tutta risposta si scatena un movimento sul territorio condiviso e sostenuto dalle Amministrazioni locali, a cui si erano aggiunte la Provincia di Savona e la Regione, teso invece a ridurre la potenza dell’impianto e a conseguire sensibili miglioramenti ambientali con l’introduzione dell’uso del metano.

Nel 1993 (Governo Ciampi, DC – PSI – PSDI – PLI) a compimento di questo scontro si arriva, dopo estenuanti trattative con il Governo e con l’Enel, al decreto del Ministero dell’Industria e ad una seconda Convenzione che prevedevano il contenimento della potenza della centrale, importanti interventi di ambientalizzazione sui due gruppi alimentati a carbone con la realizzazione di impianti per ridurre le emissioni di sox (solfiti) e nox (nitrati) e un percorso di trasformazione degli altri due gruppi, prima con l’introduzione dell’olio combustibile a basso tenore di zolfo e quindi in prospettiva attraverso l’uso del metano. Fu una svolta importante conseguita dagli enti locali (Sindaco Peluffo a Vado, De Lucis a Quiliano e Robutti Presidente della Provincia), grazie ad una battaglia iniziata significativamente con i ricorsi opposti dagli enti locali, anche presso il Parlamento e la Commissione Europei, e conclusa da un accordo che oltre a ridurre sensibilmente le emissioni inquinanti apriva per la prima volta al metano, oltre a prevedere significative ricadute socio-economiche per il territorio.

Non eravamo alla completa metanizzazione, già in allora richiesta dagli ambientalisti e sostenuta in partenza dagli enti locali, ma ad un sensibile miglioramento delle condizioni ambientali della centrale, un risultato ottenuto grazie alla compattezza e alla determinazione del fronte istituzionale locale.

I contenuti della Convenzione subiscono tuttavia continue resistenze da parte dell’Enel e del Governo centrale così che solo tra il 1997 e il 1999, dietro la continua spinta degli enti locali, si arriva all’ambientalizzazione dei due gruppi a carbone. Gli altri continuano a funzionare ad olio combustibile in attesa dell’arrivo del metano per cui continua a non pervenire l’autorizzazione del Governo anche in assenza del collegamento tra la centrale e il metanodotto della Snam passante per Altare.

Il quadro normativo nazionale subisce un forte mutamento tra il 1999 e il 2000: dapprima il Governo con il così detto Decreto Bersani recepisce la norma comunitaria sulla liberalizzazione del mercato elettrico e costringe l’Enel a vendere una parte della propria produzione di energia per superare la posizione di monopolio nel Paese, atto che porterà a collocare la centrale di Vado-Quiliano in una delle tre Gen.co, chiamata Interpower, destinate ad essere collocate sul mercato; quindi nel 2000 grazie al Decreto D’Alema si apre finalmente al metano, con l’autorizzazione per la centrale ad avviare i lavori per il ciclo combinato a metano nei gruppi 1 e 2.

Nel frattempo la Gen.co Interpower viene ceduta dal Tesoro e nel 2003 viene acquisita da una cordata di imprenditori privati (formata al 50% da EblAcea spa e al 50% da Energia Italiana spa) che riunisce nella società chiamata Tirreno Power gli impianti di Vado- Quiliano, Torrevaldaliga e Napoli, oltre alle centrali idroelettriche di Genova e al lago di Osiglia. E’ tuttavia solo nel 2005 che il metano diventa realtà con la realizzazione del collegamento al metanodotto e l’avvio dei lavori per l’alimentazione a ciclo combinato dei due gruppi fino ad allora alimentati ad olio combustibile, sottoposti a sistematiche chiusure e ripartenze a seguito delle reiterate proteste e alle ordinanze degli enti locali che denunciavano il mancato rispetto degli accordi pattuiti nel 1993.

Risale al 2005 anche l’ultima convenzione tra gli enti locali e Tirreno Power in cui oltre ad impegnarsi in una serie di interventi infrastrutturali e finanziari sul territorio la nuova proprietà si impegnava anche a progettare la copertura del carbonile e a verificare con uno studio di fattibilità il progetto di un sistema di teleriscaldamento collegato agli abitati di Vado e Quiliano, progetti entrambi, destinati a rimanere sulla carta nonostante l’impegno e le ripetute pressioni delle comunità locali.

Il resto è storia recente, con la presentazione del progetto di ampliamento con un nuovo gruppo a carbone da 460mw che porterebbe la potenza installata di questa centrale in pieno centro abitato da 1420mw a quasi 1900mw. Inutile dire che il progetto della copertura del carbonile già inserito nella convenzione del 2005 viene ora subordinato alla realizzazione del nuovo gruppo, così come l’investimento in rinnovabili, così come l’avviamento a metano dei due gruppi alimentati a carbone, tema anche questo, fondamentale per ridurre i rumori di accensione dei gruppi, richiesto dagli enti locali negli ultimi quindici anni. Nel progetto di Tirreno Power non si fa cenno al tema del controllo pubblico delle centraline che verificano le emissioni, non ci sono impegni concreti alla riduzione delle emissioni inquinanti nei due gruppi che continuano ad andare a carbone e soprattutto non c’è traccia del rispetto a ridurre le emissioni complessive di CO2 della centrale ai livelli del 1990 come prevede il protocollo di Kyoto e il Piano Energetico regionale e tanto meno si prevede di ridurle di un ulteriore 20% come prevede la più recente legislazione comunitaria. Se possibile il decreto di approvazione della Valutazione di Impatto Ambientale (V.I.A.) del Ministro dell’Ambiente è ancora più arretrato perché non prende neppure in considerazione gli interventi di miglioramento dei gruppi a carbone esistenti.

In questo quadro la posizione della Provincia di Savona e del Presidente Vaccarezza che rompe per la prima volta il fronte degli enti locali, nonostante il dissenso sull’ampliamento sia arrivato nei consigli comunali da ponente a levante passando per la Valle Bormida, e che si rifiuta di aderire al ricorso promosso contro l’ampliamento dai Comuni di Vado e Quiliano, dalla Regione e ora, significativamente anche dal Comune di Savona, rappresenta un fatto grave e senza precedenti. Un fatto che indebolisce la posizione del territorio di fronte ad un progetto approvato da una Commissione nazionale di VIA, insediata dal Ministro Prestigiacomo, dichiarata decaduta da una sentenza del TAR Lazio e che si è pronunciata non solo senza tenere conto della posizione degli enti locali, ma ignorando completamente la posizione espressa dalla Regione Liguria.

Come al principio di questa storia spetta alle comunità locali imprimere una svolta a questa vicenda. Con ancora maggiore energia che in passato è necessario condurre una forte battaglia di civiltà, non per cancellare la centrale, ma per affermare il sacrosanto diritto delle comunità locali a difendere la propria salute, il proprio ambiente e ad utilizzare le migliori tecnologie non per fare energia come nel XX secolo, ma come si conviene ad un paese che da un decennio è entrato nel secolo nuovo e che non può più concepire uno sviluppo che non faccia fino in fondo i conti con l’ambiente.