Il referendum sull’accordo per Mirafiori pone i lavoratori di fronte a un ricatto che lede il principio costituzionale del valore sociale del lavoro come base del patto di cittadinanza

Dichiarazione di Paolo Beni, presidente nazionale Arci

Più che un accordo è un atto unilaterale imposto col ricatto quello su cui i lavoratori dello stabilimento Fiat di Mirafiori sono chiamati a pronunciarsi col referendum dei prossimi giorni. E’ inaccettabile che in un Paese civile e democratico le persone siano poste di fronte all’alternativa di dover scegliere fra perdere il posto di lavoro e rinunciare ai propri diritti, fra il diritto a lavorare e la dignità del proprio lavoro.

Un brutto accordo. Non solo per i molti punti discutibili che delineano un generale peggioramento delle tutele e delle condizioni di lavoro in fabbrica, annullando gli effetti del contratto collettivo nazionale. Ma soprattutto per l’inaudita pretesa di escludere le organizzazioni non firmatarie da ogni possibilità di esercitare la rappresentanza in fabbrica. Un atto discriminatorio che cancella il pluralismo sindacale negando ai lavoratori la libertà di scegliere da chi farsi rappresentare. Un vulnus ai diritti democratici, che pone seri problemi sul piano costituzionale.

E’ grave la scelta della Fiat di risolvere il rapporto con Confindustria per liberarsi dei vincoli posti dal contratto collettivo nazionale, un precedente destinato ad incidere pesantemente nel rapporto fra impresa e lavoro cancellando di fatto la storia delle relazioni industriali costruita in Italia dal dopoguerra ad oggi. E’ un salto nel passato, il ritorno ad un modello di produzione in cui non c’è posto per la soggettività sociale del lavoratore e per il suo ruolo attivo nell’organizzazione del lavoro.

E’ grave la sudditanza del governo di fronte all’arroganza e alla cecità imprenditoriale con cui il maggior gruppo industriale italiano pone la riduzione dei diritti come condizione per investire nel nostro Paese. Dove sta scritto che lavoro e sviluppo dovrebbero passare necessariamente per l’arretramento delle conquiste sociali, che per competere nel mercato internazionale l’unica strada sia quella di imporre ai lavoratori di accettare la perdita dei propri diritti? Non è questa la modernità di cui ha bisogno il Paese per risollevarsi. Non è questa la coesione a cui ci richiama il Capo dello Stato.

Si può salvare l’occupazione senza aggredire la dignità dei lavoratori. Si deve discutere di orari e organizzazione del lavoro, certo, ma anche di come elevare la competitività della nostra economia investendo sull’innovazione, sulla riconversione industriale verso produzioni sostenibili e di qualità. Guardare a ciò che si fa in altri paesi europei come la Germania. Puntare sulla responsabilità collettiva delle forze produttive, sulla necessaria dialettica costruttiva fra lavoratori e imprenditori. Ma nella scelta autoritaria di Marchionne non c’è traccia di tutto questo. Quella strada non porterà i risultati economici promessi ma solo un inasprimento dei conflitti sociali, farà arretrare l’economia italiana e il Paese.

Se si usa la crisi per alimentare le diseguaglianze e annullare le conquiste sociali,  è tutto il vivere civile che viene messo a rischio. Far leva sulla paura della disoccupazione e la preoccupazione del futuro per dividere i lavoratori è un disegno irresponsabile e pericoloso, perché mette in discussione il principio costituzionale del valore sociale del lavoro come base del patto di cittadinanza e della convivenza democratica.

Per questo esprimiamo la nostra solidarietà ai lavoratori della Fiat e il nostro sostegno alla battaglia della Fiom e della Cgil, che non riguarda solo i diritti di una categoria di lavoratori, ma i diritti di tutti insieme ai principi fondamentali che stanno alla base della nostra democrazia costituzionale.

Roma, 12 gennaio 2010