Ci siamo, con la firma del Presidente della Repubblica Mattarella, non ci sono più dubbi, il 17 aprile del 2016 si andrà alle urne per rispondere SI ad un quesito piuttosto tecnico sulla questione delle trivelle in mare.
Le cittadine e i cittadini sono chiamati a pronunciarsi sull’abrogazione della legge sulle trivellazioni limitatamente alle parole «per la durata di vita utile del giacimento, nel rispetto degli standard di sicurezza e di salvaguardia ambientale». Sembrerebbe una questione di scarsa importanza, invece la durata certa di un giacimento può avere un forte peso in tante concessioni in essere. Ma ciò che ai promotori interessa di più sottolineare è il carattere politico del referendum, anche se su uno solo dei quesiti depositati.
Con il SI i cittadini potranno chiaramente esprimere il loro dissenso alla Strategia Energetica Nazionale ancora tutta incentrata sugli idrocarburi e sicuramente non in linea con le ultime risoluzioni scaturite dalla COP 21 di Parigi in materia di cambiamenti climatici, e totalmente disattenta verso le fonti rinnovabili.
Il governo teme molto questo referendum. Lo dimostrano i provvedimenti approvati in fretta e furia per depotenziarne i contenuti, il fatto di non aver voluto l’election day, cioè l’accorpamento fra il voto referendario e il voto alle amministrative, e la fissazione della data praticamente nel primo giorno utile in termini di regolamento referendario, con il chiaro scopo di boicottare la partecipazione e rendere più difficile il raggiungimento del quorum.
Rimane in piedi una piccola speranza di poter rinviare la consultazione legata ai tempi del pronunciamento della Corte Costituzionale sul conflitto d’attribuzione, sollevato da sei Regioni, relativo a due quesiti bocciati. Il regolamento prevede infatti che debbano passare almeno 45 giorni tra la data del pronunciamento e la data fissata per il voto. Qualora la Consulta, che si pronuncerà il 9 aprile, dovesse infatti dare il via libera a uno o entrambi i quesiti su cui è stato fatto ricorso, la data dovrebbe essere posticipata. Comunque vadano le cose, il raggiungimento del quorum è la vera sfida.
L’Arci può svolgere un ruolo importante. Con due votazioni all’unanimità, in Presidenza e poi in Consiglio nazionale, ha dichiarato esplicitamente l’appoggio al referendum. E la nostra associazione, con la sua rete di 4600 circoli, 144 comitati territoriali e 17 regionali, può davvero contribuire a far sì che il referendum diventi di tutti e tutte, e non solo delle Regioni che lo hanno promosso. Infatti l’Arci è più forte e diffusa proprio in quei territori dove la tematica è apparentemente meno sentita – Emilia Romagna, Toscana, Piemonte, Lombardia – ed è proprio lì che è necessario amplificare il nostro impegno perché si raggiunga il quorum.
Questo sarebbe importante anche per dimostrare l’importanza di uno dei pochi strumenti di democrazia diretta rimasti, che in passato ha portato alla vittoria di significative istanze di civiltà e libertà.