Intervista a Walter Massa, presidente Arci Liguria (da Arcireport 26)

La sentenza della Cassazione ha nella sostanza confermato le pesanti condanne per «devastazione e saccheggio» a carico di dieci manifestanti del G8 genovese, salvo l’annullamento della condanna di detenzione di molotov per tre imputati (Cugnaschi, Puglisi e Vecchi, la cui riduzione di pena dovrebbe essere tra i 9 e i 12 mesi), e il rinvio ai magistrati genovesi per rivedere la mancata concessione di attenuanti per «aver agito in suggestione della folla in tumulto» per Carlo Arculeo (8 anni), Antonino Valguarnera (8 anni), Luca Finotti (10 anni e 9 mesi), Carlo Cuccomarino (8 anni) e Dario Ursino (7 anni) – che restano così in libertà in attesa del nuovo procedimento. Si sono aperte invece le porte del carcere per quattro imputati: Alberto Funaro (10 anni), Vincenzo Vecchi (13 anni), Marina Cugnaschi (12 anni e 3 mesi) e Francesco Puglisi (15 anni); la condanna a 6 anni e 6 mesi per Ines Morasca è stata sospesa in quanto ha una figlia piccola da accudire.

Fin qui i dati di cronaca che è opportuno conoscere e ricordare. Chiediamo al presidente di Arci Liguria, Walter Massa, una valutazione sulla sentenza.

Senz’altro è importante avere chiara la portata delle condanne comminate, non solo perché vogliamo continuare a contribuire ad aprire ambiti di discussioni, ma soprattutto perché abbiamo ancora l’ambizione di chiedere (e volere) verità e giustizia per Genova. Alla luce delle ultime sentenze ritengo inaccettabile che da una parte non si sia potuto sanzionare adeguatamente i comportamenti delle forze dell’ordine perché l’Italia non ha mai introdotto il reato di tortura, dall’altra siano stati condannati a pene pesantissime dieci manifestanti, rispolverando un reato ereditato dal codice Rocco che nell’appello della campagna 10X100, che abbiamo sostenuto, viene giustamente definito «Un reato concepito nel chiaro intento, tutto politico, di perseguire chi si opponeva al regime fascista» e che oggi viene utilizzato ipotizzando una «compartecipazione psichica», anche in assenza di associazione vera e propria tra gli imputati, lasciando così alla completa discrezionalità politica degli inquirenti e dei giudici il compito di decidere se applicarlo o meno.

Pensi sia possibile fare un bilancio politicogiudiziario dell’intera vicenda genovese ora che l’iter processuale si è sostanzialmente concluso?

Un bilancio complessivo e approfondito è ancora molto difficile, anche perché ritengo siano ancora molte le cose che non sappiamo e che forse non sapremo mai, ma certo alcune riflessioni si possono e si devono fare. Una delle cose che probabilmente non sapremo mai è il ruolo dell’Arma dei Carabinieri in tutta la vicenda, e in particolare riguardo a Piazza Alimonda ed alla visita a Forte San Giuliano dell’allora vicepresidente del Consiglio Fini e di altri dirigenti e parlamentari di AN. Come è stato confermato dalla sentenza di secondo grado contro i manifestanti, gli scontri sono avvenuti perché i carabinieri, che pure avrebbero dovuto sottostare al comando di piazza che spettava alla polizia, hanno caricato arbitrariamente il corteo in via Tolemaide. Da quell’aggressione – a riconoscerlo è la sentenza d’appello – sono scaturiti gli scontri che hanno portato alle vicende di Piazza Alimonda e all’uccisione di Carlo Giuliani per un colpo di pistola sparato da qualcuno a bordo del ‘defender’ dei carabinieri. Questo, ovviamente, non per negare la presenza di manifestanti organizzati – black bloc ma anche provocatori ritratti in rapporti ‘amichevoli’ con le forze dell’ordine – scesi in piazza con l’obiettivo di dare battaglia. Ebbene, è lecito domandarsi come mai le responsabilità dell’Arma dei carabinieri non siano mai state indagate, tanto da arrivare a negare il processo per l’uccisione di Carlo Giuliani.

C’è qualche altro aspetto rilevante che a tuo avviso non è stato ancora chiarito? Credo che la domanda di fondo, a cui ancora oggi non si è trovata una risposta soddisfacente, è come sia stato possibile quanto è accaduto e, soprattutto, perché è accaduto. Certo, i drammatici avvenimenti del 20 e 21 luglio hanno di fatto causato la cancellazione nell’opinione pubblica della ricchezza del dibattito sui temi della globalizzazione avvenuto durante i lavori del Forum Sociale, e questo potrebbe essere già un buon motivo, tanto più che da qualche tempo da più parti si è riconosciuto che i fatti ci hanno dato, purtroppo, ragione. Ma non credo basti a spiegare quanto è accaduto.

Si può a tuo avviso formulare qualche ipotesi, pur senza cadere nel complottismo o nella dietrologia?

Difficile. Non credo di esserne all’altezza per di più. Posso solo dire che i tanti fatti di questi anni mettono in luce moltissimi lati oscuri mai toccati dalla magistratura, né (e questo e’ inspiegabile) dall’opinione pubblica. La vicenda dei Carabinieri da questo punto di vista e’ emblematica. Dall’altra le immagini di una Polizia di Stato cosi goffa, impreparata, protagonista di una serie di gaffe degne di forze dell’ordine da stato delle banane lasciano forti perplessità sulla veridicità dei gesti. Penso alla vicenda delle molotov, ai dietrofront di questori, alle intercettazioni telefoniche dei vertici della Polizia di Stato… insomma un po’ l’idea che ci abbiamo venduto sia le domande che le risposte per non farci scoprire altro ogni tanto viene a galla.

A proposito della sentenza Diaz?

A proposito della Diaz e dell’inutile dibattito scaturito all’indomani della sentenza sul fatto di essere contenti o meno, voglio dirla prendendo in prestito le parole di un amico di facebook che spero non me ne voglia: «nessuno si strappa i capelli, ma non capire cosa ha confermato la Cassazione, in un contesto come quello italiano, politicamente, giuridicamente e storicamente inteso, è un po’ la solita cavolata ‘ipercriticista’ » da duro-purismo astratto.

Intendi dire, immagino, che in Italia la condanna dei vertici della polizia non era per niente scontata.

Certo. Da una parte c’è l’assoluzione di De Gennaro, che ovviamente non ho apprezzato, ma dall’altra c’è la condanna, dopo tutti i gradi di giudizio, di importantissimi dirigenti delle forze dell’ordine. È la prima volta che accade nel nostro Paese e probabilmente non si poteva pretendere di più. Sicuramente non ha senso lamentarsi senza cogliere il punto importante segnato da questa sentenza della suprema corte. Venerdì prossimo è il 20 luglio, undicesimo anniversario dell’uccisione di Carlo Giu – liani, il primo dopo la conclusione dell’iter giudiziario.

Con che spirito sarai in piazza Alimonda?

Con l’impegno a continuare a chiedere verità e giustizia per Genova, in primo luogo quella sulle responsabilità politiche che l’omertà della casta ha impedito. Ovviamente in quella giornata il ricordo tornerà a Carlo al quale è stato negato anche quel poco di giustizia che per le altre vicende è stata ottenuta grazie alla determinazione e perseveranza di alcuni magistrati, ottimi legali e al coraggio di testimoni e vittime che hanno accettato di rivivere in un aula di tribunale quegli orrori.

Intervista a cura di Alfredo Simone