Ci sono a volte circostanze in cui anche le convinzioni più profonde possono vacillare. Ed è partendo da questa riflessione che provo a scrivere questo articolo pensando a David Raggi, il giovane morto per mano di un giovane marocchino ubriaco, ed alla sua famiglia. Una mamma e un papà esemplari che non hanno perso il coraggio, nemmeno nel dramma più duro da affrontare, per rifiutare l’odio razziale e la cattiveria propri di questi tempi e di questa Italia.

Un esempio di lucidità e di forza d’animo che diventano esempio e che ci dice che non esiste nessun automatismo istintivo, nessuna spiegazione umana, nessun nesso tra un dolore grande e l’odio contro qualcuno, contro una comunità. Nessun attimo di incertezza nell’esprimere il loro fermo rifiuto a rendersi complici di chi dà libero sfogo alla propria meschinità e pochezza fomentando l’odio verso gli immigrati, squadristi verdi o neri che siano che, purtroppo, ormai da tempo infestano anche le nostre istituzioni democratiche.

Tutto ciò accade a cavallo del 21 marzo, la giornata mondiale contro il razzismo, istituita dalle Nazioni Unite nel 1966 a seguito del massacro di Sharpeville del 1960, la giornata più sanguinosa dell’apartheid in Sudafrica: 69 manifestanti uccisi perché protestavano contro l’Urban Areas Act che imponeva ai sudafricani neri di esibire uno speciale permesso se venivano fermati nelle aree riservate ai bianchi.

Da sempre l’Arci si batte – e continuerà a battersi -, contro questa barbarie che non smette di fare proseliti. Una barbarie che non solo abbiamo conosciuto nei libri di storia ma che, giorno dopo giorno ritroviamo in molti angoli d’Europa. E in Italia, come dimostra, amaramente, la vicenda di David. Ed è anche per questo che occorre, anche per noi, ricostruire un pensiero, attualizzato, sul nostro antirazzismo, sul nostro modo di stare dentro questo conflitto e queste evidenti contraddizioni. Ripensare il nostro modo di agire sulle molteplici frontiere che quotidianamente vengono innalzate; da quelle tragiche delle coste a quelle difficili dei nostri quartieri. Per non parlare dei condomini. C’è, esiste, si tocca con mano un nesso tra la crisi, l’imbarbarimento culturale e il razzismo. E noi dobbiamo provare ad affrontarlo con quello che un tempo veniva definito, un pensiero lungo. Per noi, per i nostri circoli e soci, per il nostro Paese. Anche su questo terreno possiamo diventare capofila di una rivolta culturale e sociale utile e necessaria. Occorre un po’ di coraggio che, se vogliamo, non ci manca. Credo e spero che il Meeting Antirazzista di Cecina possa diventare uno dei luoghi per ragionare tra di noi, possa tornare a mettere al centro la formazione politica con cui, poi, definire il nostro pensiero lungo sull’antirazzismo oggi.  E poi Sabir come il luogo della messa in rete della nostra proposta e il luogo per la costruzione della nuova Europa, fortemente antirazzista ma soprattutto dei popoli e dell’accoglienza: credo sia sotto gli occhi di tutti l’inadeguatezza delle risposte istituzionali, tanto più vergognosa – è bene ribadirlo ogni tanto – per un paese che ha visto milioni di suoi cittadini costretti ad emigrare per cercare altrove quel futuro che in patria non potevano trovare. E’ su questo punto quindi che entra in campo la nostra ostinazione con cui ci battiamo e pressiamo per la riapertura di Mare Nostrum e per l’attivazione di canali umanitari di accesso poiché, se esiste una cosa indiscutibile per chiunque è che le persone in fuga da guerre e persecuzioni non si fermano. Non le ferma il mare grosso, non le ferma il filo spinato, tantomeno le ferma l’irresponsabilità politica degli attuali legislatori.

C’è bisogno del 21 marzo, quindi, così come c’è bisogno dell’Arci in questa battaglia. Un’associazione consapevole e preparata, sempre con l’ambizione di voler cambiare questo mondo sempre più difficile. Buon 21 marzo, compagne e compagni. Antifascisti e antirazzisti, sempre.