Rodato nel corso di un tour di nove mesi che nella passata stagione l’ha portato in giro per l’Italia, Discorsi alla nazione di Ascanio Celestini giunge a Genova (29 Ottobre 2013 / 1 Novembre 2013 – Teatro della Corte, feriali ore 20,30)  in una forma ormai compiuta, senza però rinunciare al proprio statuto narrativo di “work in progress”, sempre aperto alle suggestioni provenienti dall’attualità politica e sociale che possano arricchirne e rafforzarne l’assunto narrativo. Nel corso del nuovo monologo dell’autore-attore romano si ride sovente, ma nello stesso tempo si è costretti a rispecchiarsi con una certa inquietudine in quei cittadini che, per interesse o per quieto vivere, hanno finito per acconsentire al potere. Oggi la politica, dice Celestini, si è trasformata in quella variegata forma di tirannide che, nello spettacolo, trova un’eco nei discorsi registrati di Mao o di Khomeyni, di Bush o di Berlusconi, ma anche in quelli di Craxi, di Andreotti o di papa Ratzinger, che fanno da sfondo all’introduzione gestita da Celestini in prima persona («Io sono di sinistra…») con l’evidente scopo di preparare il pubblico – con stile che ricorda Dario Fo – a quella dimensione metaforica e fantastica che subito dopo diventa il centro narrativo dello spettacolo.

«Ho immaginato alcuni aspiranti tiranni, annota Ascanio Celestini, che provano ad affascinare il popolo per strappargli il consenso e la legittimazione. Appaiono al balcone e parlano senza nascondere nulla. Parlano come parlerebbero i nostri tiranni democratici se non avessero bisogno di nascondere il dispotismo sotto il costume di scena dello stato democratico».

In una nazione qualsiasi, ma nella quale lo spettatore può facilmente riconoscere la propria, mentre fuori piove ed è in corso la guerra civile che accumula cadaveri davanti al portone, Celestini porta in primo piano alcuni emblematici inquilini di un condominio sotto assedio, dove però nessuno (l’Uomo qualunque, l’Uomo con l’ombrello, l’Uomo con il fucile o l’Uomo con la pistola) sembra rendersi conto dello stato di decomposizione etico-sociale in cui sta vivendo. Ovunque ormai i cittadini si sono arresi e sono diventati sudditi. Metafora amara del presente, sullo sfondo della quale lo spettacolo di Ascanio Celestini lascia intravedere ancora un barlume ideale: nella speranza che le coscienze si risveglino e torni a sventolare la bandiera dell’autoconsapevolezza, «prima che – sottolinea il critico di “L’Unità” – arrivino i nuovi Ubu a convincerci che non c’è altra soluzione, che non c’è altra società, che non c’è altro mondo che questo».