L’11 settembre è una data che si associa all’attacco alle Torri Gemelle di New York, avvenuto nel 2001. Ma un’altra triste pagina della storia è legata a questa data: il golpe in Cile. La ricostruzione della tragedia cilena nell’articolo di Giorgio Trucchi pubblicato da Peacelink l’11settembre 2008.
Un colpo di Stato minuziosamente preparato e finanziato dal governo nordamericano e dalla CIA, terrorizzati entrambi dall’esperienza e dall’esempio che Unidad Popular ed il suo leader, il “compañero Presidente”, potevano rappresentare per l’intera America latina.
I boia di turno, Augusto Pinochet ed i suoi generali rinnegati, hanno catturato, torturato e massacrato migliaia di persone, mentre il governo statunitense, consenziente, girava lo sguardo da un’altra parte. Come disse molti anni prima il presidente Roosevelt parlando del capostipite della famiglia Somoza, “sarà anche un figlio di puttana, ma è il nostro figlio di puttana”.
Il ferreo dominio dell’impero sul continente latinoamericano è continuato per tutto il ventesimo secolo e anche se con forme necessariamente diverse, continua ancora oggi, di fronte alla preoccupante virata progressista degli ultimi anni.
Cuba, da quarant’anni sottoposta ad un vergognoso ed anacronistico embargo, Venezuela, Ecuador e Bolivia sono il nuovo “asse del male” e la politica di discredito e di subdola campagna per boicottarne i processi in atto continua senza sosta. Il nuovo governo nicaraguense viene costantemente attaccato da una campagna mediatica finanziata da agenzie nordamericane, mentre nel Salvador si stanno affilando i coltelli per impedire che in marzo del prossimo anno il FMLN possa finalmente vincere le elezioni. Anche un governo molto discusso come quello di Manuel Zelaya in Honduras è stato fortemente attaccato dal Dipartimento di Stato nordamericano, per la sua decisione di aderire all’ALBA.
In mezzo a tanta ipocrisia di funzionari statunitensi che parlano di libertà e democrazia, è una boccata d’ossigeno la notizia dell’espulsione dell’ambasciatore statunitense, Philip Goldberg, dalla Bolivia di Evo Morales. Un ambasciatore che ha tramato per mesi e mesi contro un presidente democraticamente eletto e che ha dovuto ingoiare l’incredibile sostegno che il presidente boliviano ha ottenuto dal suo popolo durante lo scorso referendum revocatorio.
“Senza aver paura dell’impero e davanti al popolo, dichiaro non grato l’ambasciatore degli Stati Uniti ed ho chiesto al nostro ministro degli Esteri di inviare una lettera all’ambasciatore per rendergli nota la decisione, affinché se ne torni al suo paese”, ha detto Morales.
L’11 settembre del Cile è quindi molto più di un ricordo ed una ricorrenza. È un invito a non abbassare la guardia, a fare della storia un’arma di conoscenza ed interpretazione del presente.
Di seguito un testo del giornalista della Rel-UITA, Guillermo Chifflet, su questa importante ricorrenza.
“L’11 settembre normalmente si ricorda l’attentato del 2001 alle Torri Gemelle, negli Stati Uniti, che provocò tre mila morti.
Sempre un 11 settembre, ma del 1973, un colpo di Stato lungamente preparato e finanziato dagli Stati Uniti abbattè il governo costituzionale di Salvador Allende, in Cile. Questo episodio diede inizio ad una tappa di persecuzioni e fucilazioni che superò i 30 mila morti.
Non è solo per il numero di vittime che si giudica un crimine, ma la cifra dà un’idea dell’odio della destra e della sua capacità di assassinare gli avversari, generalmente lavoratori. Quando i militari golpisti occuparono a ferro e fuoco l’edificio della Moneda, la Casa di Governo cilena, mentre i soldati spingevano i sopravvissuti colpendoli con il calcio dei fucili, uno di loro, integrante di un gruppo che aveva arrestato Miria Contreras (la “Payita”), requisì un foglietto che aveva nascosto nella manica della sua giacca.
“No, soldato, no! Non lo rompere! È l’Atto d’Indipendenza”, disse la “Payita”. Ma era già troppo tardi. Lo stesso giorno in cui i militari con un colpo di Stato rendevano un servizio agli interessi esterni, rompevano anche l’Atto d’Indipendenza: un fatto con la forza di un simbolo.
Pinochet ed i suoi seguaci avevano paura dei settori operai e dei contadini che seguivano il presidente Allende. La giornalista Patricia Verdugo racconta in uno dei suoi libri (“Interferenza segreta”) i vari modi pensati da Pinochet per assassinare Salvador Allende.
Il dittatore temeva di processare il Presidente perché pensava che la popolazione si sarebbe potuta ribellare per salvarlo. Resta una registrazione della voce di Pinochet il quale, con freddezza assassina, indica: “A questi signori (Allende e gli altri) li mandiamo dove vogliono in aereo e durante il viaggio li buttiamo di sotto”.
Il tradimento è sempre stata la condotta di Pinochet. In un’occasione, mentre dialogava con i suoi amici, disse che bisognava esigere “la resa incondizionata, senza negoziazioni”. E la conversazione continua così:
Carvajal: Bene, sono d’accordo. Resa incondizionata e si arresta offrendogli solo di risparmiargli la vita.
Pinochet: La vita, la sua integrità fisica e dopo lo sistemiamo.
Carvajal: D’accordo….cioè che si mantiene l’offerta di farlo uscire dal paese.
Pinochet: Si mantiene l’offerta di farlo uscire dal paese… ma l’aereo cade, vecchio mio, quando è in volo.
Carvajal: D’accordo. eh eh eh (ride), d’accordo.
La giornalista Patricia Verdugo racconta che mentre la sparatoria nelle strade risuonava dalle finestre e porte distrutte del Palacio de La Moneda, Allende guardò i busti degli ex presidenti sui piedistalli ed indicò alle guardie personali che l’accompagnavano: “Distruggete tutti questi vecchi di merda! Si salvano solo Balmaceda ed Aguirre Cerda. Gli altri per terra!”
I tre uomini del GAP (Gruppo di Appoggio al Presidente) eseguirono l’ordine. Ed Allende uscì dalla sala lasciandosi dietro solamente il busto del presidente Balmaceda (che un secolo prima si era suicidato dopo il colpo di Stato che punì i suoi impeti rivoluzionari), e quello del presidente Aguirre Cerda che aveva condotto il governo del Frente Popular nel 1938.
Nel 1964, come inviati del giornale Epoca, dell’Uruguay, ci recammo in Cile per dare copertura al processo elettorale. Già a Ezeiza, l’aeroporto argentino, i titoli delle riviste avvisavano in modo eclatante: “Pericolo Rosso in Cile”. L’intero processo elettorale cileno venne costellato da messaggi inviati da Juanita Castro, Eudoxio Ravines, Haya de la Torre e da altri personaggi della destra cilena per attaccare Salvador Allende.
Da quel momento si seppe che gli Stati Uniti stavano finanziando con un fiume di dollari le campagne contro Allende, dato che ormai si sapeva che avrebbe partecipato come candidato degli operai e dei contadini.
Gruppi di estrema destra, come “Tradizione, Famiglia e Proprietà”, ricevevano i finanziamenti per promuovere azioni contro la sinistra. Scioperi, come quello dei camionisti, venivano finanziati con il sostegno proveniente dall’estero. I settori della destra lavoravano intensamente nelle caserme. E alla fine del suo governo, Frei Montalva moltiplicò il potere militare, con importanti investimenti per l’equipaggiamento. La destra si giocava tutto con il colpo di Stato e ci riuscì.
A 35 anni da quest’altro 11 settembre, rinnoviamo il nostro ricordo alla memoria dei martiri di quella brillante pagina verso l’indipendenza e la sovranità in America Latina.
© (Testo e traduzione Giorgio Trucchi – Lista Informativa “Nicaragua y más” di Associazione Italia-Nicaragua – www.itanica.org )