Rendere più civili le carceri, anche con atti di clemenza La maggior parte dei detenuti entrati nelle carceri nel 2011 (76.982)  è in attesa di giudizio, mentre soltanto il 10% circa ha una condanna definitiva. Il 25% di questi torna in libertà entro una settimana (dati Istat/Dap 2011).  Di questi tempi la questione carcere sembra essere oggetto di mera contesa congressuale, o peggio gettata nel fango della contesa politica come una clava per separare i buoni dai cattivi, come se le denunce degli attivisti e dei volontari e i richiami dell’Europa di questi anni fossero carta straccia.

L’Arci da tempo lo considera, invece, un tema centrale e così abbiamo inteso in questi anni le battaglie sul rispetto

della Costituzione fatte in Liguria insieme alla Comunità di San Benedetto e a Don Andrea Gallo, senza pontificare ma realizzando e condividendo progetti per cercare di migliorare le condizioni di vita di chi ‘sta dentro’, di chi è uscito e delle loro famiglie.

Provo quindi a proporre alcuni elementi, prendendo innanzitutto le distanze dallo sciacallaggio mediatico di questi tempi. Con l’amnistia lo Stato rinuncia all’applicazione della pena, e quindi ai relativi processi, mentre con l’indulto si limita a condonare la pena, in tutto o in parte. Due provvedimenti ben differenti, quindi, contrariamente a quanto si vorrebbe far intendere, con la possibilità per i magistrati di dedicarsi ai procedimenti per reati più gravi e con detenuti in carcerazione preventiva. Il messaggio del Presidente della Repubblica ha ricordato i tredici provvedimenti di amnistia (sola o unitamente all’indulto) emanati tra il 1953 e il 1990, cessati con l’attribuzione al parlamento della competenza e una maggioranza necessaria dei due terzi, ma anche per una «ostilità agli atti di clemenza» diffusasi nell’opinione pubblica. Ostilità, crediamo noi, orchestrata ad arte e che ha portato il Governo Berlusconi a emanare le leggi ‘carcerogene’ (la Fini-Giovanardi, la Bossi-Fini e la Cirielli per la parte sulla recidiva), a cui fa riferimento in un’intervista il professor Pugiotto, autore nel maggio 2006 di una lettera aperta al Presidente Napolitano, sottoscritta da
oltre 100 fra costituzionalisti, docenti di diritto penale e Garanti dei detenuti.
Certo, in assenza di misure concrete per l’effettivo reinserimento delle persone scarcerate ed al loro accompagnamento
nel percorso di risocializzazione, il rischio che molti dei beneficiari ritornino dietro le sbarre è alto. Dobbiamo però
sottolineare, a proposito dell’indulto del 2006, che dopo 35 mesi la percentuale di detenuti rientrati in carcere era del
30,31% contro il 21,78% di quelli che hanno usufruito di misure alternative.
Di questo vorremmo si parlasse e su questi aspetti noi, insieme a tante e tanti, vorremmo dare un contributo in termini
di discussione. Ora tocca al Parlamento rendere degne di un paese civile le nostre carceri e far sì che i provvedimenti
di clemenza costituiscano il frutto non di compromessi politici ma di una riflessione seria e di scelte competenti.

 

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arcireport n. 39 | 29 ottobre 2013

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nel maggio 2006 di una lettera aperta

al Presidente Napolitano, sottoscritta da

oltre 100 fra costituzionalisti, docenti

di diritto penale e Garanti dei detenuti.

Certo, in assenza di misure concrete per

l’effettivo reinserimento delle persone

scarcerate ed al loro accompagnamento

nel percorso di risocializzazione, il rischio

che molti dei beneficiari ritornino

dietro le sbarre è alto. Dobbiamo però

sottolineare, a proposito dell’indulto del

2006, che dopo 35 mesi la percentuale

di detenuti rientrati in carcere era del

30,31% contro il 21,78% di quelli che

hanno usufruito di misure alternative.

Di questo vorremmo si parlasse e su

questi aspetti noi, insieme a tante e tanti,

vorremmo dare un contributo in termini

di discussione. Ora tocca al Parlamento

rendere degne di un paese civile le nostre

carceri e far sì che i provvedimenti

di clemenza costituiscano il frutto non

di compromessi politici ma di una riflessione

seria e di scelte competenti.

walter.massa@arci.it