Ho atteso la notte con la speranza che questa portasse maggiori consigli e un briciolo in più di serenità dopo le difficili giornate vissute.  Scrivo queste righe anche per socializzare il mio personale smarrimento di fronte a quello che sta accadendo nel Paese. Uno smarrimento collettivo, credo il vostro e probabilmente quello di milioni di italiani che hanno assistito, attraverso i media, a questo incredibile epilogo.

Poteva/doveva essere il cambiamento possibile e necessario, il lancio di una nuova stagione per il bene comune, della ritrovata alleanza tra progressisti e invece abbiamo tutte e tutti assistito a questo psicodramma che ha e avrà risvolti di cui ‘ difficile ad oggi immaginare le possibili conseguenze.

Premetto (e lo scrivo per non dare spazio ad interpretazioni maliziose) che il Presidente Napolitano e’ il Presidente della Repubblica e merita rispetto, così come merita rispetto la sua elezione che non è’ un golpe, tantomeno un colpo di Stato.Beppe Grillo, dall’agio della sua collina, farebbe bene a tacere dato che siamo arrivati fino a questo punto anche per causa sua.

Con altrettanta chiarezza, lasciatemelo dire, rimane incomprensibile il no a Stefano Rodotà da parte del partito democratico, trovando meschini coloro i quali, da quelle fila, hanno voluto tirare in mezzo uomini per bene come Stefano Rodota’, uno dei pochissimi ad uscire a testa alta da questa situazione. Lui, a differenza d’altri non deve dimostrare a nessuno il rispetto per la Costituzione e per le leggi di questo Stato. Lo ha sempre fatto e lo ha dimostrato anche in questa occasione.

Trovo che il partito democratico porti sulle spalle una enorme responsabilità per aver in pochi giorni demolito tutti i buoni propositi ed anche le cose fin qui fatte, come le elezioni di Boldrini e Grasso. Un partito lacerato che a questo punto, per il suo bene e per il bene del Paese, deve seriamente porsi il problema di cosa vuole essere. Una volta per tutte.

Una questione annosa mai risolta e che in questa fase e’ scoppiata con una violenza inaudita. Anche perché è ormai chiaro che un partito così non può più interpretare il cambiamento necessario ed auspicabile.

Entriamo quindi in una, ennesima, difficilissima fase che vede sfaldarsi l’alleanza progressista e avanza l’ipotesi di un nuovo ‘governissimo’. Una volta, anche in situazioni più delicate, avremmo potuto pensare – in momenti come questi – “vabbe’, dai, dopo questa botta ne usciremo più forti di prima” oppure “da questa crisi potrebbero nascere cose buone”, ma, francamente, vedo il prossimo futuro peggio dell’attuale presente.

E non sono un pessimista cronico, anzi.

Scusate se questo alla fine è anche un pò uno sfogo ma del resto con chi dovrei farlo se non con voi? Siete le compagne e i compagni che, con tutte le differenze del caso, considero i più vicini, umanamente e politicamente. Con molti di voi mi sono sentito in queste ore concitate, socializzando smarrimento e preoccupazione.

Sono quei momenti che, forse, con un po’ di sana velleità ti portano a pensare di essere importante, che puoi fare qualcosa per provare ad invertire la rotta e che, al tempo stesso, cementa ulteriormente i rapporti e il senso della nostra comunità. E quindi il nostro lavorare insieme per qualcosa di grande e di utile.

Sono convinto che noi già facciamo qualcosa, nella vita di tutti giorni e se me lo concedete, anche dando esempio positivi a quella politica che oggi ci ha portato fino a qui.

In queste concitate giornate ho sentito spesso Paolo Beni e per certi versi non l’ho proprio invidiato. Dentro quel Palazzo si è giocata una partita che, probabilmente, non riusciamo a capire fino in fondo. Ho sentito Paolo, amareggiato, nel pieno del dramma e, provando ad immedesimarmi in lui, l’ho immaginato anche un pò solo. Catapultato in una dimensione nuova e difficile e, forse, per certi versi incomprensibile per lui come per molti altri “grandi elettori”.

Certo molti di noi della presidenza nazionale lo hanno sentito in questi giorni e in queste ore; ed e’ un bene che senta almeno noi vicini.

E arrivo a noi, all’Arci. Mi domando in queste ore se per noi possono valere ancora i detti di cui prima e che da questa immane tragedia politica si possano trovare le forze per rilanciare e superare la situazione data.

Del resto quando, un po’ di fretta, abbiamo scritto e condiviso all’unanimità quelle poche righe l’altro ieri, chiedendo a tutti i componenti della presidenza nazionale, insieme, di sostenere Stefano Rodotà, non solo abbiamo raccolto oltre mille adesioni in 24 ore, non solo abbiamo avuto un ritorno positivo da tantissimi con rilanci in rete e attestazioni di stima sui media ma anche – e’ capito a me – in strada, al circolo o durante le riunioni di lavoro. Abbiamo dato, io credo, un forte e deciso segnale al “nostro popolo” che dall’Arci questo si aspettava questo.

Abbiamo osato in pochi, interrogandoci se tutti i 35 componenti dela Presidenza Nazionale avrebbero firmato un testo in favore di Rodotà. 35 storie diverse, appartenenze politiche differenti, anche correnti differenti per i partiti che le hanno e ci siamo riusciti. Lo abbiamo sottoscritto tutte e tutti dando un segnale fortissimo dentro e fuori l’Arci. Sembrerà poca cosa ma non lo è.

E il “popolo” Arci ha risposto positivamente stando alle firme e alle decine di telefonate che molti di noi hanno ricevuto in pochissime ore.

Mi pongo allora, e pongo a voi, l’annosa domanda: “che fare?”.

Non ho un risposta certa e concreta ma ho la netta impressione che abbiamo bisogno di coraggio in questa fase. Di rotture, di un briciolo di umiltà in più e di scelte coraggiose che ultimamente, spesso, mancano alla politica.

Perché, per noi che “viviamo di politica” (e sapete a cosa non mi sto riferendo) e che non abbiamo l’arroganza di pensare che tutti sono uguali, provare a dare un buon esempio può essere davvero il segnale giusto. Quel segnale che arriva forte e chiaro e non mediato, fortunatamente per noi, da appartenenze a singoli partiti, a correnti differenti..

“Restiamo umani” diceva Vittorio Arrigoni e non permettiamo che le tempeste intorno a noi scalfiscano o indeboliscano la nostra comunità, il suo ruolo, le cose che fa e il suo nome. Servirebbe solo a sommare disastro a disastro.

Genova, 21 aprile 2013

Walter Massa