Con questo week end prende il largo la stagione dei congressi territoriali, provinciali e regionali dell’Arci . Con il vento in poppa arriveremo a metà marzo dove un congresso nazionale importante e decisivo darà corpo alle scelte dell’Associazione per i prossimi anni. L’ho ripetuto spesso: questo e’ davvero un congresso straordinario. E non mi riferisco tanto alle questioni statutarie ma a ciò che riguarda la prospettiva politica dell’Arci.

Non bisogna avere paura di afferma che questi mesi congressuali andranno a chiudere una fase dell’Associazione con luci ed ombre. Il congresso servirà anche a leggere con più attenzione quelle luci e quelle ombre, non tanto e non solo per il normale giudizio ma, per definire nel modo più preciso cosa fare da domani.

Sarà straordinario anche nelle modalità. Anzi lo è’ già straordinario, basti pensare alla consultazione nazionale che abbiamo appena realizzato. E’ stato indubbiamente un esperimento per quanto, a mio avviso, significativo. E non parlo delle classifiche sui nomi ma delle modalità di coinvolgimento di quel gruppo dirigente diffuso che per troppi anni e’ stato ai margini, imbottigliato da una organizzazione iperverticale. Verticalità che non ha prodotto maggiore funzionalità ma, anzi, ha alimentato quella tendenza anarchica e autistica di tutti la nostra filiera istituzionale. Lasciando più soli i nostri circoli nella stragrande maggioranza dei casi. Dobbiamo recuperare maggiore funzionalità anche e soprattutto scegliendo con chiarezza da che parte stare e dove vogliamo andare. Questo farà bene ai nostri circoli, non altro. Una grande associazione nazionale al tempo stesso “sindacato del diritto a stare e fare insieme” e autorevole motore della ricostruzione della sinistra italiana. Il tutto ripartendo dai fondamentali: uguaglianza, solidarietà e responsabilità.

Per fare ciò e’ importante saper leggere quanto accade intorno a noi e dentro di noi. Non possiamo ignorare che la fase politica che stiamo attraversando è davvero inquietante. E in questo quadro quella che ancora si definisce sinistra e’ ferma a guardarsi l’ombelico, a parlare di se stessa, continuando ad immaginarsi immune da ciò che accade. Mai abbiamo visto una sinistra diffusa così debole, smarrita, schiacciata da populismi e sentimenti di rabbia e sempre più incompresa da larghe fasce di popolazione. Sentimenti che non solo toccano la nostra gente e i nostri mondi ma, andando oltre, sono capaci di esercitare un fascino mortale e pericoloso. L’abbraccio a sinistra del populismo di questi tempi e’ un serio rischio per la democrazia. Non lo dico io. Lo testimonia la storia. Anche quella più recente. E’ il segno, evidente, di una sconfitta prima di tutto culturale. Sconfitta che alcuni continuano a non voler vedere ma che in molti percepiamo.

E però questo gap non si recupera stando in piazza in questi giorni, uniti a qualche coro da stadio urlato dai cosiddetti forconi o al fianco di simbologie e slogan che richiamano il peggior fascismo. Tanto meno penso che occorra scendere sul terreno del populismo grillino che ad oggi ha dimostrato buoni slogan e una non comune capacità di comunicazione. Ma anche l’assoluta incapacità a proporre qualsivoglia progetto di Paese nonostante

Questo congresso dell’Arci, mi auguro ci porti a prendere coscienza, una volta per tutte, che non è possibile che in Italia non esista un grande partito d’ispirazione socialista degno di questo nome. Un partito ancorato ad una idea ben precisa di società sostenibile, dove, tornando ai fondamentali – uguaglianza, solidarietà e responsabilità – si possa recuperare e ricostruire un progetto alternativo. Questo e’ quello che deve fare la sinistra. E ripartire da quelle parole e’ di per se, già una scelta di campo.

Non casualmente, infatti, uguaglianza, solidarietà e responsabilità sono state il motore della nascita del movimento operaio che, dalla metà dell’ottocento, hanno visto nascere le prime Società di Mutuo Soccorso, poi le prime cooperative, poi i sindacati, poi i partiti e quindi le grandi associazioni di massa come l’Arci. Quelle stesse parole che hanno dato vita alla Resistenza e che sono i fondamenti, purtroppo spesso disattesi, della nostra Carta Costituzionale.

Parole semplici ma dense di significato che, se assunte in toto, possono ridare un senso al nostro impegno civico e politico e che, dall’altra parte, possono vincere quella banalizzazione di grandi ideali – il provincialismo italiota – e quell’arretratezza culturale di cui il nostro Paese si è nutrito in questo ultimo ventennio. Banalizzazione che, solo per fare un piccolo esempio, porta ancora oggi molti a pensare che alla parola socialista debba corrispondere automaticamente il faccione di Bettino Craxi e di una manica di vampiri che hanno costituito il gruppo dirigente del PSI tra la metà degli anni ’70 e i primi anni ’90, alcuni dei quali assurti a ruoli di prestigio nella cricca berlusconiana.

Il socialismo in una cornice europea è una necessità oggi e può essere la risposta alla domanda di società equa che viene continuamente posta dalle cittadine e dai cittadini.

Non insegno niente a nessuno e non scopro l’acqua calda se dico che il grado di supremazia dei monopoli è arrivato a livelli intollerabili. Solo per fare due tra gli esempi più eclatanti, la Generale Motors ha un fatturato più grande del bilancio della Danimarca e la Ford di quello del Sud Africa. Anche le differenze tra ricchi e poveri sono aumentate a dismisura e, anche qui, per fare solo degli esempi, il “salario” di Tiger Woods, il giocatore di golf statunitense, è superiore ai salari di tutti gli impiegati della Nike in Indonesia, e Goldman Sachs, l’impresa di investimenti di meno di 200 soci, produce profitti per $ 2.200 milioni ogni anno, l’equivalente del bilancio della Tanzania, paese di 25 milioni di abitanti.

 E qui in Italia? Quali le risposte dei governi? 1 miliardo e seicento milioni di euro spesi per contrastare l’immigrazione clandestina dal 2006 al 2012. Oppure i tre miliardi di euro previsti in investimento in spese militari solo per il 2013.

Non si tratta poi solo di un aumento della disuguaglianza globale ma anche di un aumento della differenza tra ricchi e poveri all’interno dei paesi capitalisti sviluppati come il nostro. E in più, dappertutto cresce l’insicurezza e si pone sempre più seriamente una questione di sistema.

Cambiare si può e si deve quindi. E quel comandamento diffuso per cui non e’ possibile cambiare perché “sono tutti uguali” serve solo a perseverare in questa direzione. Noi dobbiamo osare, andare oltre.

Qualcuno si spaventerà o storcerà il naso a sentir riparlare di socialismo; ma quell’idea di mondo e’ dentro di noi da sempre. E’ quell’immagine delle due mani che si stringono (simbolo non casualmente delle società di mutuo soccorso) che ben si distinguono da quelle due mani che si toccano, rigorosamente una in alto – bella e illuminata – e una in basso a testimonianza che solidarietà e carità non solo sono due diversi modi di agire ma sono, soprattutto due visionidifferenti del mondo. Due idee di società ben distinte e alternative come ci ha ricordato ultimamente anche il nostro amico Luca Borzani, presidente della Fondazione per la Cultura di Genova in occasione proprio del centenario della Sms Leginese di Savona.

E allora consideriamo questo congresso come un pezzo di un lavoro che non potrà che avere tempi lunghi. Anche perché non esistono risposte semplici o scorciatoie.

Possiamo essere uno dei motori propulsivi di una lenta e faticosa ricostruzione della sinistra italiana:una sinistra istituzionale capace anche di guardare senza pregiudizi a quanto si muove di positivo nella società. Una sinistra capace di porre ai mondi organizzati storici come il sindacato e l’associazionismo popolare la sfida di un progetto di paese di sinistra.

Una sinistra capace di mantenere un profilo e una proposta di governo perché intende davvero – e non solo a parole – assumersi la responsabilità del cambiamento. Una sinistra che sa dire dei no e dei si e che sa cambiare e, laddove necessario, innovarsi. Una sinistra già da domani capace di portare nel dibattito pubblico una, cinque , dieci idee precise per uscire dalla crisi e per disegnare l’Italia di oggi e di domani. Questa e’ la sfida e al tempo stesso la strada per ricostruire il “campo di forze del cambiamento” come diceva il nostro Tom.

Di sinistra che fa pura testimonianza, con l’arroganza di aver capito tutto del mondo e che guarda dalla finestra ciò che avviene nel Paese, ne abbiamo già vista fin troppa. E neanche oggi ci manca. Quella sinistra che non intende costruire una idea di governo del Paese non serve. Tutt’altro.

Questo e’ il mio augurio cara Arci.  Buon lavoro, buon congresso e coraggio.  Il futuro e’ dalla nostra parte.