Il 1 maggio è stata l’occasione per rilanciare il ruolo del sindacato e per mettere al centro della sua azione le tutele delle nuove forme di lavoro.
Il contributo per Arci Liguria di Sergio Cofferati, parlamentare europeo uscente ed ex segretario generale della CGIL

Negli ultimi anni la festa del lavoro aveva assunto il carattere di una ricorrenza certo importante ma proggressivamente volta a dare evidenza al suo pur importante carattere storico, a sottolineare gli elementi del rito tradizionale e poco, invece, aveva cercato di leggere il nuovo prodotto dai cambiamenti in atto in quel momento. Quest’anno, per fortuna, non è stato così. Due importanti novità hanno caratterizzato la festa: la comparsa su molte piazze italiane dei riders e la proposta, fatta nel comizio di Maurizio Landini a Bologna e accolta mi pare con favore anche dagli altri segretari confederali di CISL e UIL, di dare vita ad una stagione volta a rilanciare l’unità sindacale.

I riders sono i fattorini, ragazzi ma non solo, che trasformano un ordine su internet, di cibo ma anche di altro, in una consegna a domicilio. Sono considerati lavoratori autonomi senza esserlo non avendo le condizioni per definire il carattere della loro presentazione e ancor meno il livello della loro retribuzione. Non hanno i diritti più elementari e non hanno le tutele più normali per chi lavora. Sono diventati il dolente simbolo del lavoro povero e senza diritti.

Storicamente, la figura del povero era assimilata al disoccupato. Chi non aveva un lavoro, non aveva salario e dunque era condannato a una vita di stenti. Chi non aveva un contratto non godeva di tutele sociali e non aveva diritti né individuali né collettivi. Il suo produrre non gli garantiva una vita dignitosa. La figura del lavoratore povero era comparsa da molto tempo nell’economia americana. Non esisteva da noi dove l’estensione e l’efficacia del welfare da un lato e la forza della rappresentanza collettiva avevano a lungo condizionato positivamente il mercato del lavoro. Ora non è più cosi. I riders non sono gli unici “lavoratori poveri”, quelli che con il loro salario stentano ad arrivare alla fine di un mese di duro lavoro. Ma oggi ne sono la figura più rappresentativa. Si “vedono” per le caratteristiche del loro lavoro e per avere nella media un’età bassa. Questa tipologia di sfruttati ha bisogno di leggi e contratti in grado di garantirgli dignità e adeguata qualità del vivere.

Per queste ragioni la loro condizione da modificare radicalmente rappresenta una delle più importanti questioni del mercato del lavoro sia per ragioni materiali ma anche per ragioni sociali, politiche e simboliche. Sono figli di una grande trasformazione prodotta dalla rete e dalla cui incidenza su servizi che uniscono l’uso della tecnologia sofisticata e del lavoro semplice. Una adeguata soluzione del problema consentirebbe alla rappresentanza politica e a quella sociale di affrontare con maggior forza l’impegno successivo e imponente per dimensione e per effetti concreti: quello della robotica.

Anche l’altra novita’ di mercoledì 1 Maggio ha un grande valore. L’appello al rilancio del processo dell’unità sindacale fatto da Landini ha in potenza una rilevanza politica e simbolica di non poco conto. Landini avanza lo stimolo a “mettersi insieme” non solo per la scontata ragione che uniti si è più forti ma anche perché’ dice che ciò che circonda il sindacato e interviene sulla sua azione per sostenerla o contrastarla e profondamente cambiato. Ed è vero che questo cambiamento c’è stato e continua ancora. La crisi della rappresentanza politica e la conseguente scomparsa dei partiti della prima repubblica ha modificato radicalmente l’idea della autonomia del sociale dal politico. Oggi il sindacato su molti temi ha più interlocutori nelle associazioni non governative che nei partiti. Ma ovviamente il potere legislativo resta nelle mani dei partiti.

Lo stimolo che viene indirizzato al legislatore parte dai segmenti organizzati, più o meno vasti, della società oltre che dai sindacati. È utile ed importante che questi soggetti agiscano insieme sulla base di procedure da discutere e sperimentare. Il valore dei corpi intermedi nella nostra società è sempre stato importante, forse deve riorganizzarsi per accrescere la sua forza. Nel dopoguerra la divisione fu prodotta da ragioni politiche, di rapporto e appartenenza dei lavoratori con i partiti storici dell’epoca. Ora che la politica è più debole forse ci sono le condizioni per un percorso inverso.

I diritti individuali e collettivi non riguardano solo la sfera del lavoro ma l’intera società, lo strumento della solidarietà non ha perso efficacia ma va praticato, la coesione sociale è indispensabile per garantire la democrazia, la dignità nel lavoro per dare valore alla vita. È ovvio che tutto ciò sarebbe più facile da realizzare anche con i cambiamenti possibili nella rappresentanza. Per questo credo anch’io che sia necessario provare a ricreare le condizioni per stare insieme in un nuovo soggetto che può nascere in un percorso che faccia superare le diverse appartenenze per confluire nello stesso mare.

Sergio Cofferati