L’onda lunga della destra più retriva ha segnato significativamente l’andamento dei ballottaggi del 24 giugno. Non poteva che essere così e stento a comprendere lo stupore di taluni sui social e sui media. Comprendo di più il sentimento di sconfitta e di insicurezza di tante e tanti compagni delle città cadute. Siena, Pisa, Massa, Sarzana, Imola, Ivrea giusto per citare le più importanti. Non ci può essere razionalità nei pensieri, in questi momenti, per queste compagne e per questi compagni; anzi non ci deve essere proprio poiché sarebbe incomprensibile. Ma per noi che, quelle batoste le abbiamo già vissute, per noi che quelle sberle le prendiamo da tempo, per noi che abbiamo fatto i conti su cosa vuole dire farsi governare da predicatori tanto odiosi quanto inutili, per noi, appunto, deve esserci la convinzione – cinica ma razionale – che il fondo è stato toccato e che peggio di così non si può e deve fare e che l’alternativa ora è ripartire. Con la caduta di queste ultime roccaforti storiche della sinistra e del centrosinistra, cade un modello che per troppi anni ha segnato la vita del Paese; in peggio se tracciamo un bilancio generale. Magari non tanto e solo sulle questioni delle singole scelte amministrative ma piuttosto sul quadro valoriale e di senso che dovrebbe accompagnare ogni singola decisione amministrativa. Quel quadro ideale è stato ridotto a “mera e ignobile ideologia” e come tale è diventato il male assoluto perché pregiudiziale a qualunque questione di merito. In un mondo fatto di sole percezioni (con le quali a sinistra sono stati fatti danni incredibili) il fare (o l’impressione del fare) ha sostituito totalmente il “senso del fare” e in poco più di vent’anni ci siamo ritrovati a rendere collettivamente più importanti le opinioni sulla realtà che la realtà stessa. Sarebbe un corto circuito perfetto agli occhi di un marziano. Eppure qui siamo arrivati. E da qui dobbiamo ripartire a ricostruire un’alternativa di senso a ciò che è diventato il nostro Paese. Guardate, prima di fustigarci con il cilicio come è nostra abitudine, io non penso si debba partire da zero; ci sono anche in questo voto amministrativo dei segnali che bisogna essere in grado di cogliere. L’ho scritto e lo ripeto: se guardo alla mia Liguria penso che a Sestri Levante, grazie a Valentina Ghio e alla sua squadra, si sia fatto un passo avanti rispetto al futuro. Una buona amministrazione riconfermata, un quadro della sinistra unito e, via, i simboli del passato, vecchi perchè divisivi. Ad Alassio e Imperia, nonostante personaggi da film dell’orrore, il modello “Liguria Luna Park solo per bianchi” di Toti & company è stato picconato. A Roma, nei ballottaggi dei Municipi, vince l’alternativa alla Sindaca Raggi e alla destra xenofoba. E così da altre micro esperienze ne esce un quadro di speranza a segnare che le risposte e le alternative, oggi, possono partire solo dalle esperienze del territorio (basso) – piccole o grandi che siano – e non dal nazionale (alto). Si tratta di ascoltarle di più, di definire un quadro valoriale comune e di mettersi a disposizione per connetterle e farle vivere in una dimensione sovra territoriale. Penso ad un lungo lavoro di prossimità, di vicinanza e di confronto, finalizzato all’emersione dei veri bisogni di una comunità. Da tempo, infatti, il razzismo dilagante e questa intollerabile rabbia diffusa verso il diverso, altro non è che la punta di un iceberg molto più profondo che ha a che fare con abbandono, solitudine, assenza di politiche pubbliche, precarietà sociale prima ancora che lavorativa e invecchiamento progressivo della popolazione. Sicurezza certamente ma di avere una vita dignitosa e soprattutto un futuro. Appare facile a dirsi ma difficile a farsi, soprattutto partire con un percorso di questo genere ma, sono convinto, non impossibile. Occorre un nuovo inizio, unito ad un nuovo metodo e soprattutto ad una nuova classe di lampadieri capaci di affrontare quella che oggi appare l’oscurità più buia di sempre. Penso che su questo terreno, a cominciare dal prossimo autunno dovrà misurarsi anche l’Arci. Al suo interno in un percorso di ascolto con i circoli che deve tornare ad essere la priorità di tutto il gruppo dirigente. Già perché così non è stato in questi anni e, anche dalle nostre parti, ha talvolta fatto capolino un pensiero di autosufficienza e supponenza, anche nei confronti dei circoli. E all’esterno, evitando prediche e illuminismo d’antan, attraverso una credibilità da riconquistare ben oltre gli steccati confortevoli dei nostri “soliti amici” sul terreno dell’utilità delle nostre azioni e dei nostri progetti territoriali. Può e deve essere un lavoro nazionale – lo misureremo, speriamo, nelle prossime settimane – ma, certamente, sarà il lavoro dell’Arci ligure in vista della prossima stagione. Almeno così mi auguro, poiché resistere non basta più. Occorre ricostruire.